Tutto Le Noise: classifiche e rassegna stampa [agg.]

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Rockinfreeworld
00lunedì 1 novembre 2010 19:32


Classifiche [aggiornato]

Ecco le posizioni di Le Noise nelle classifiche mondiali a partire dalla settimana di uscita (che può variare a seconda degli stati), con alcuni dati di vendita.
Le classifiche sono state fornite da Luca Vitali, che ringraziamo.

Mondo (Top40 Mediatraffic) #12 #20 #32
Mondo (Top50 Musicharts) #10 #15 #34
Prime 2 settimane: 107.000 copie
Totale stimato tra 170.000 e 200.000 copie

Europa (Top100) #10 #13 #23 #53 #97

USA (Top200 Billboard) #14 #35 #50 #71 #93 #138
1^settimana: 30.500 copie
Totale alla 5^settimana: 62.200 copie

UK (Top200) #18 #41 #75 #136 - #138(rientro)
1^ settimana: 10.000 copie
Totale alla 4^settimana: 18.300 copie

Canada (Top100) #2 #5 #10 #27 #36 #41
1^ settimana: 10.500 copie
Totale alla 5^settimana: 19.600 copie

Italia (Top100) #26 #27 #60 #75 #73
Totale alla 5^settimana: 2.800 copie

Norvegia (Top40) #3 #3 #6 #15 #21 #14
Totale alla 5^settimana: 3.400 copie

Svezia (Top60) #2 #11 #20 #35 #50 #56
Totale alla 5^settimana: 3.800 copie

Germania (Top100) #22 #35 #46 #63 #90 #89
Totale alla 5^settimana: 12.100 copie

Francia (Top200) #23 #37 #50 #60 #101 #133
Totale alla 5^settimana: 8.100 copie

Olanda (Top100) #23 #26 #18 #33 #45 #58 #89
Totale alla 6^settimana: 3.300 copie

Austria (Top75) #19 #39 #35 #56
Totale alla 4^settimana: 2.100 copie

Altri Paesi:
Belgio Wa (Top100) #48 #24 #36 #62 #83
Belgio Vl (Top100) #36 #13 #14 #23 #51 #59
Danimarca (Top40) #6 #13 #17 #26
Finlandia (Top50) #30
Croazia (Top100) #10 #7 #5 #1 #14 #10 #5
Grecia (Top75) #62 #58
Islanda (Top30) #8 #27
Irlanda (Top75) #14 #17 #48
Israele (Top30) #1 #1 #5 #12
Scozia (Top40) #10 #30
Nuova Zelanda (Top40) #35 #33 #30 #34
Giappone (Top30) #29
Australia (Top50) #83 #44 #41
Spagna (Top100) #21 #46 #75 #69 #78
Repubblica Cieca (Top50) #18
Svizzera (Top100) #29 #45 #64 #87


Va menzionato anche il mercato online, e in particolare Amazon. Da un mese prima dell'uscita, la prevendita di Le Noise ha scalato la classifica fino ai primi posti, mantenendosi stabile nella Top10 dopo l'uscita. A un mese di distanza è rimasto entro la Top30 e attualmente è ancora nella Top100.


***

Rassegna Stampa parte 2


LA NUDA APOCALISSE DI NEIL YOUNG
C’è un solitario signore sessantacinquenne col cappello da cowboy e lo sguardo burbero che fa dell’incredibile garage rock. Gli bastano le sue chitarre, un’acustica celestiale su due ballate, ma soprattutto la sua leggendaria Gibson Les Paul roboante e qualche pedale per distorcere il suono. Questo, in tutta la sua fortissima sincerità, è l’ultimo lavoro di Neil Young, Le Noise, che sta per «il rumore», cosa che il nostro sta giostrare molto bene, e per il cognome del produttore. Non c’è altro, solo lui, le chitarre e un produttore, il conterraneo Daniel Lanois (U2, Bob Dylan e decine d’altri) che si è occupato essenzialmente di far «suonare» calda, inquieta e piena di riverberi la stanza di registrazione. «un uomo su uno sgabello e io che faccio la mia bella figura nelle diverse fasi della registrazione», come ha spiegato Lanois, che si è comportato da vero adepto del rocker canadese. «Volevo che Neil capisse che ho passato anni a studiare e analizzare suoni nella tranquillità di casa mia e ci tenevo davvero a offrirgli qualcosa che non poteva aver mai ascoltato prima. È difficile arrivare a realizzare un nuovo suono dopo cinquanta anni di rock‘n’roll, ma penso che ce l’abbiamo fatta». Difatti in oltre quaranta anni di carriera Young non aveva mai fatto niente di così «nudo», un apocalittico tappeto sonoro perfetto per parlare delle sue urgenze, qualcosa di terribilmente scuro, notturno, nato, come i due raccontano, durante varie giornate di luna piena e con il cuore appesantito dalla scomparsa del chitarrista, compagno e amico di vecchia data Ben Keith. Urgenze come l’amore e la guerra (su “Love And “War”, dall’andamento un po’ latino: «Ho visto ragazzi andare in guerra lasciando giovani mogli / ho cercato di spiegare ai loro figli che il loro padre non tornerà più a casa»), ma anche momenti di riflessione sul proprio passato (sull’epica “Hitchhiker”, una vecchia canzone che racconta un viaggio autobiografico sotto effetto della droga, dal Canada alla California, canzone che gira da anni sotto diverse forme e che finalmente ha preso i suoi contorni definitivi) e continue evocazioni di un’America perduta, simbolo universale di perduta innocenza. Un’America dove ancora per poco sferragliano le rotaie, corrono liberi i bisonti e volano i proiettili delle doppiette. Lo fa in quello che probabilmente è il pezzo migliore dell’album, la ballata “Peaceful Valley Boulevard”, sorella della vecchia Cortez the killer: «Un giorno gli spari risuonarono nella pacifica vallata / dio stava piangendo come pioggia / prima che la ferrovia arrivasse a Kansas City / e i proiettili partissero dal treno per colpire il bisonte». Ma assieme a Love and war questo è l’unico momento acustico (e comunque incredibilmente «pesante», nel senso di peso specifico) di un disco rumorosamente elettrico, arrabbiato e distorto. Album che si apre con il graffio di “Walk With Me” e prosegue con “Angry World”: «Questo è un mondo arrabbiato / sia per il businessman che per il pescatore / questo è un mondo arrabbiato / e non c’è dubbio che tutto andrà come è stato pianificato»
Silvia Boschero, L’Unità


A differenza di altri padri nobili che ormai hanno preferito far calare il sipario come Bowie o di chi soltanto raramente spedisce cartoline, alla Cohen, Neil Young continua imperterrito a timbrare il cartellino, anche nella fase crepuscolare di una carriera infinita. Ossessionato dalla perfezione formale con cui intarsiare il suo canone artistico (si pensi al maniacale e controverso disegno degli Archivi, finalmente inaugurato), egli ha altresì realizzato nell’ultimo lustro progetti “pronti e via” in base all’umore del momento come i dispensabili Living With War o Fork In The Road. Capitoli cui hanno fatto da contraltare per fortuna i discreti Prairie Wind e Chrome Dreams II, nei quali Re Luna ha trovato lo slancio per scrollarsi di dosso parte di quella ruggine che per anni gli ha dilaniato l’anima. E chi ama e segue l’uomo dell’Ontario preferisce in fondo saperlo così schizofrenico e intento a sfornare le sue istantanee sul mondo; qualsiasi ulteriore inciampo non farebbe che confermare quella fragilità insita pure in tutte le mille canzoni che ci hanno cambiato la vita.
Inevitabile dunque che anche il nuovo decennio venga bagnato con l’ennesimo manufatto del Loner, Le Noise. Titolo pleonastico per chi ha fatto del rumore chitarristico – gli amplificatori giganti nella copertina di Rust Never Sleeps ne fanno fede – uno dei cardini del proprio suono, sviscerato anche in sfumature sperimentali e contraddittorie negli anni (dallo smargiasso Re-ac-ctor al collage sonico di Arc fino alle visioni di frontiera contenute in Dead Man) . E francesismo omaggio alla novità di tappa, ovvero la presenza in cabina di regia del québécois Daniel Lanois: per anni membro de facto degli U2, brillante socio di Peter Gabriel e soprattutto colui che ha disseminato magiche iridescenze sulla terza età dell’altro totem mister Z, con magistrali produzioni su Oh Mercy e Time Out Of Mind.
Su otto composizioni per sola voce e chitarra (elettrica tranne un paio di episodi con la spina staccata), Lanois attua tra questi solchi un certosino e brillante lavoro di effetti e sfumature, tra riverberi e delay imbizzarriti. Ciò conferisce una spazialità inconsueta ai riff sanguigni e alle tipiche melodie del suo illustre connazionale, il quale le rimodella con veementi colpi di scalpello (si ascolti “Sign Of Love”, una “Cinnamon Girl” riveduta e in moviola). Già la rocciosa apertura di “Walk With Me”, con il suo intricato reticolo garage, restituisce un Cavallo Pazzo tirato a lucido, nonostante la sua Les Paul corra stavolta in solitaria, slittante e nervosa come in “Someone's Gonna Rescue Me”. E non ci si annoia neppure quando un velo di retorica senile avvolge la tirata “Angry World” o gli strazianti accordi di “Love And War”.
Semplicemente senza sbavature è invece il terzetto che chiude l’album. Si parte con “Hitchhiker”, rivisitazione di un inedito dimenticato nel limbo di metà anni 70, un autobiografico abisso di paranoie e droghe, sullo sfondo dei mutamenti dell’immenso continente nordamericano. Si tratta di uno dei sermoni più brutali e apocalittici nell’intero repertorio del Loner, vibrante di tensione vitale e ombre minacciose, nostalgico ma con lo sguardo al presente; la probabile chiusura a fil di gola di un cerchio aperto più di 40 anni fa dalle allucinazioni di “Last Trip To Tulsa”. Quindi lo struggente requiem acustico di “Peaceful Valley Boulevard”, in cui un topos tipicamente youngiano (quadretto arcadico sconvolto dal cieco e insensato delirio umano) viene dipinto lambendo vette poetiche che Mr. Soul non toccava da tempo, con i piacevolissimi spettri di “Pocahontas” e “Powderfinger” a vivacizzare la scena. E infine “Rumblin’”, un sibilo pulsante scosso da fulminee cabrate distorte e versi come “When will I learn how to heal?” che sintetizzano l’umore di un reduce – Ben Keith l’ultimo caduto nella sua comunità, RIP – indomabile.
Il miglior congedo possibile e un buon viatico al prossimo viaggio, che in base alla regola dei sei-sette anni sarà presumibilmente in direzione Nashville. La ruggine non dormirà mai, ma con queste mani di vernice la si maschera bene.
Junio C. Murgia, storiadellamusica.it


Che la firma di Neil Young sia da decadi ormai sinonimo di qualità, non è cosa nuova. Che ancora ad oltre quaranta anni di carriera si possa scrivere musica buona ed anche attuale, è un dono sempre più raro. Ed il fatto che ormai anche i “dinosauri” della storia della musica non possano o non riescano ad inventare alcunché di ancora non ascoltato, non toglie comunque nulla alla semplice bellezza di prodotti come Le Noise, una gran boccata d’ossigeno all’interno dell’odierna metaforica cloaca musicale.
L’ex Buffalo Springfield si ripropone in questo 2010 con un album che mescola il folk classico delle sue origini e della sua parte di carriera più famosa, con un rock più duro, non proprio l’hard rock di alcuni suoi precedenti lavori, ma comunque una musica potente ed a tratti adirata. Una miscela interessante che potremmo definire hard folk, o folk elettrico.
È in effetti Le Noise un album assolutamente cantautorale di base, con tracce omogenee, liriche sempre in primo piano nel contesto delle canzoni, poco spazio ad assoli o a sezioni strumentali. Tuttavia, non vi è prevalenza di tracce totalmente acustiche. Sono, infatti, solo due le canzoni di questo tipo: la quarta, “Love and War”, e la settima, “Peaceful Valley Boulevard”.
Proprio quest’ultima è il capolavoro vero e proprio presente all’interno del cd. Un brano eccezionale, solo voce e chitarra, come ai vecchi tempi. Il delicatissimo arpeggio trasporta l’ascoltatore in un’atmosfera intensissima, malinconica, e struggente, accompagnando una voce flebile emozionante come in nessun’altra delle sette tracce, anche grazie a quella cadenza sussurrata e quasi singhiozzante di alcune fasi.
Una formula più che vincente che non viene del tutto ripetuta nell’altra canzone acustica di Le Noise, che pure con la sua atmosfera da ballatona folk riesce a catturare il cuore dell’ascoltatore. Ma anche alcuni tra i brani elettrici sono degni di applausi. Su tutte le tracce numero due e tre, “Sign of Love” e “Someone’s Gonna Rescue You”, molto simili nelle sonorità, ed aventi dei riff piuttosto trascinanti.
Non vi sono nèi particolarmente gravi da riscontrare in un album tanto ben riuscito. Se proprio si vuole essere pignoli, il suono della chitarra elettrica sembra un po’ stridente, grattugiato, leggermente fastidioso nell’insieme. E forse la scelta di non suonare con il supporto degli altri strumenti di base ha reso il tutto leggermente troppo uniforme, escluse, naturalmente, le due acustiche.
Tuttavia, non sono questi difetti tali da cambiare la sostanza del giudizio riguardante questo Le Noise. La speranza ora è che Neil Young prosegua la sua carriera ancora a lungo, nonostante ci abbia già donato tanto, più di quello che ci si potrebbe attendere. Ma sarebbe, e sarà, realmente un gran dispiacere perdere un artista di questo calibro, con tutta la sua passione e la sua propensione verso una musica dal forte impatto emotivo. Una musica che arriva al cuore senza cercare le tasche, come spesso accade in questi tempi.
Marco Abbate, rockshock.it


Sottile ma nemmeno tanto celato gioco di parole che omaggia apertamente il deus ex machina del disco, Daniel Lanois, e nello stesso tempo sembra presagire l'ascolto tortuoso, tra le curve elettriche, i feedback e le distorsioni che accompagnano la voce di Neil Young, Le Noise è l'ennesimo scarto di un artista a cui si potranno "imputare" molte intemperanze e persino delusioni, ma certo non sarà mai messo alla sbarra per il suo coraggio quasi incosciente. Una irrequietezza, sappiamo bene, che segna il carattere di Neil Young e di conseguenza si ripercuote su un'intera discografia, una carriera che non vuole saperne di adagiarsi, di porgere l'altra guancia, neppure di farsi semplicemente addomesticare. A rischio così di infilare una serie di lavori alternativamente scuri, scialbi, tormentati, insipidi oppure ispiratissimi, a seconda dell'estro transitorio. Dove vada a parare in questa sequenza Le Noise è davvero difficile dirlo, perché le sue contorsioni, figlie solo in parte di lavori quali Dead Man e Arc, la sua "crudeltà" per sola voce e chitarra (ed effetti annessi, ma mai poi così invadenti da oscurare l'essenza della canzone), il suo ripetere all'infinito una piccola formula che una volta scovata si è impossessata totalmente della mente di Young stesso, sono tutti segnali di un songwriter che non vuole mollare la presa, che pensa con la faccia tosta di potersi continuamente rimettere in discussione.
Giudicandolo così, il Neil Young del 2010 è ancora avanti anni luce rispetto a molti suoi colleghi superstiti, veramente questa volta un cavallo pazzo in balia delle insofferenze della sua anima (come non leggere in questa chiave anche gli irrisolti Living With War e Fork In The Road, istantanee talmente rabberciate da spiazzare qualsiasi valutazione). Il problema però rimane sempre lo stesso: l'imprecisione, sempre mostrata quale carattere distintivo, che non si trasforma più in arte e sofferenza come spesso è accaduto nella sua storia, semmai prende la forma di un disco irrisolto, un'altra occasione sprecata. Perché Daniel Lanois, con tutto il carico di esperienza e la nomea possibile, non è affatto il salvatore, anzi persino una comparsa, una nota indefinita a margine: i suoi delay, gli echi nella voce, i piccoli "effetti d'ambiente" non cambiano la forma della preghiera “Walk With Me” o di “Sign Of Love”, che appaiono persino outtakes di Ragged Glory, però senza la spinta dei Crazy Horse.
Certo la ruggine di quella chitarra è ancora attaccata all'amplificatore e si mangia ogni centimetro dell'anima di Neil Young, ma non basta a rendere la tensione di “Someone Gonna Rescue You”, “Angry World” (facendo finta di non avere sentito le riflessioni a dir poco scolastiche del testo) e “Hitchhiker” (ripresa e nuova declinazione di un vecchio brano, “Like An Inca”) una via di uscita credibile alla completa realizzazione dell'album. Si potrebbe essere tentati dunque di cercare un rifugio in quella bluastra commozione acustica che appare in “Peaceful Valley Boulevard” (i sette minuti meglio spesi dell'intero Le Noise), ma a farvi da contraltare ci sono le parole imbarazzanti e parecchio ingenue di “Love and War”, bella melodia con scintille spanish fra le corde della chitarra, che cade appunto sotto i colpi dell'approssimazione delle liriche. Allora l'entusiasmo di Neil Young in questo nuovo sodalizio con Lanois pare realmente fuori luogo.
Fabio Cerbone, rootshighway.it


Un'altra recensione la si può leggere qui: beatblog.leonardo.it/blog/tag/le+noise

Inoltre nel blog associato a questo sito, csnyrockinfreeworld.blogspot.com , potete leggere le recensioni di Salvatore Esposito e di Paolo Vites.


Autore: Matteo 'Painter' Barbieri
Fonti citate nel testo
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